L’ITALIA, GRANDE PAESE MANIFATTURIERO, DEVE TROVARE UNA STRADA AUTONOMA CHE TENGA CONTO DELLE NOSTRE SPECIFICITA’

DI MARCO TAISCH E ALESSANDRO PEREGO

Negli ultimi mesi sui media abbiamo assistito a un crescente interesse verso quella che viene definita la Quarta Rivoluzione Industriale in Italia. Il dibattito si è focalizzato su alcuni temi rilevanti quali l’innovazione nel modo di produrre, il ruolo delle tecnologie, l’impatto sulle risorse umane e sulle nuove figure professionali, e non ultimo i benefici attesi che questa potrà portare alla competitività delle imprese manifatturiere.

Saarà necessario aggiornare competenze e skill aziendali.

Si è spesso citato come esempio da seguire il modello tedesco con il programma nazionale Industrie4.0 piuttosto che l’iniziativa statunitense dell’Industrial Internet Consortium. E’ tuttavia fuori di dubbio che il sistema industriale dell’Italia, secondo paese manifatturiero d’Europa, composto da numerose PMI operanti in settori anche molti diversi tra loro con una forte propensione all’esportazione, abbia peculiarità tali da non consentire una adozione acritica dei modelli degli altri paesi e necessiti invece dell’individuazione di un suo proprio modo di interpretare le opportunità offerte dai cambiamenti tecnologici in corso, che per le nostre imprese potranno rappresentare quella opportunità di ripresa che da tempo stiamo aspettando.

Ma quali sono queste opportunità? E per chi sono?

Innanzitutto per i produttori italiani di “tecnologia produttiva” – impianti, macchine utensili, automazione industriale –, una delle filiere che più contribuisce all’Export italiano. Gli sviluppi promessi dall’Industria 4.0 – grazie all’internet delle cose, ovvero la possibilità di connettere oggetti che possono quindi scambiare dati ed informazioni in tempo reale, unita alla capacità di gestire e analizzare anche a distanza la grande mole di dati generata –  potrà consentire loro di arricchire la propria catena del valore trasformandosi da semplici costruttori a fornitori di servizi a valore aggiunto abilitati proprio dalle tecnologie digitali. Si pensi alla possibilità di monitorare in tempo reale le prestazioni di un impianto, di analizzarne il comportamento e quindi di offrire servizi di manutenzione predittiva fino a impegnarsi con il cliente sulla capacità produttiva e sul livello qualitativo della produzione.

In secondo luogo per le filiere del Made in Italy – dall’alimentare, al legno-arredo, all’abbigliamento – che possono solo beneficiare da una rinnovata capacità del Paese di migliorare nei basilari dell’efficienza produttiva e nella capacità di connettersi alle supply chain globali. Con uno sguardo alle PMI e al timore che più volte gli imprenditori ci hanno recentemente paventato di ricadere nella trappola di inizio degli anni duemila, quando le aspettative di aumento della produttività derivanti dall’adozione dei sistemi gestionali si sono però poi infrante contro alti  investimenti e forti revisioni dell’organizzazione aziendale che ha dovuto essere adattata al sistema informativo stesso. Questa volta non sarà così perché con le attuali tecnologie dell’Internet delle cose, del cloud computing, della sensoristica a basso costo e della connettività delle macchine e dei prodotti è invece possibile pensare ad una adozione incrementale, diluita nel tempo e limitata solo a quelle aree del sistema produttivo in cui l’impatto in termini di aumento della produttività risulti più alto. Questo processo di lenta adozione consente inoltre di aggiustare il tiro sulla base dell’esperienza diretta maturata, evitando quegli errori molto costosi, commessi anche in un passato recente, derivante dalla erronea implementazione di complessi sistemi informativi.

In terzo luogo per lo sviluppo professionale dei lavoratori dell’industria. A differenza di quello che si pensi, la maggiore integrazione delle informazioni introdotta da una sensoristica diffusa e dalla maggiore connettività dei sistemi diventa un fattore abilitante del mantenimento dei livelli occupazionali. Infatti, si passa dal paradigma di una automazione industriale tradizionale dove la macchina ha sostituito il meno performante operatore ad una automazione cognitiva in cui l’operatore, opportunamente ‘aumentato’ delle sue funzionalità grazie alla tecnologia, diventa fattore di aumento della produttività della fabbrica ritornando ad essere una risorsa preziosa.

E’ però vero che, sempre parlando di persone, questa evoluzione tecnologica comporta la necessità di aggiornamento delle competenze e delle skills aziendali. Il rischio che vediamo è che il digital divide, dilagante nel mercato consumer dove i nativi digitali hanno surclassato le generazioni precedenti nella familiarità con le tecnologie digitali associato ad un fenomeno di allungamento della età pensionabile della forza lavoro, renda la tecnologia digitale un elemento disgregante della compagine aziendale anziché di connettività delle competenze e della expertise dell’impresa.

 

Non dimentichiamo infine, non meno importante sul sistema economico, l’innesco di una positività emotiva che la Quarta Rivoluzione Industriale potrà avere sulla fiducia dei mercati, dei consumatori e quindi degli investitori, consentendo quella ripresa dei consumi interni da troppo tempo stagnante e che penalizza la crescita del PIL del nostro paese.

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